In occasione della festività di San Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti, l'Ucsi Basilicata ( unione cattolica stampa italiana) ha promosso, domenica 25 gennaio, presso la sede del Don Bosco a Potenza, un incontro con il biblista Don Cesare Mariano sul tema: l'islam e noi.
Di seguito riportiamo alcune parti del suo intervento.
Afferma Waldenfels:
«Lo studio della cristologia coranica non deve comunque far dimenticare che tanto Gesù e il Vangelo quanto Mosè e la Torà vengono inseriti in quella storia universale della salvezza e della rivelazione che ha trovato in Maometto e nel Corano la sua espressione ultima e insuperabile. Non Gesù, bensì Maometto è il sigillo dei profeti (Corano 33,40)»
La pretesa cristiana:
Qual è il proprium cristiano rispetto all’Islam?
La risposta a questa domanda è semplice: Cristo, Cristo riconosciuto nella fede come vero Dio e vero Uomo, come Salvatore del mondo.
Si è visto che anche nel Corano vi è una cristologia, meglio una gesuologia, ma essa finisce per svuotare dall’interno quella che don Giussani definisce la pretesa cristiana, ossia la Presenza corporale di Dio in Gesù Cristo.
Prima di passare allo specifico cristiano, vorrei mettere a fuoco quanto vi è in comune tra l’Islam ed il Cristianesimo. Dal punto di vista fenomenologico, si tratta di due grandi movimenti religiosi, due religioni, ossia delle risposte ben “codificate” e “strutturate” a quelle domande ultime che costituiscono l’essenza del sentimento religioso dell’uomo.
L’oggetto proprio del desiderio che sorge nell’uomo religioso si chiama Dio. Ora, all’uomo religioso Dio si presenta come Mistero, come inafferrabile alla ragione intesa come misura. Qui sta la drammaticità dell’esistenza dell’uomo religioso, drammaticità che consiste nel presentire il Mistero, nell’intuire di essere immersi in esso, di essere strutturalmente dipendenti da Lui, di camminare verso di Lui, ma di non poterlo afferrare, non poterlo vedere.
Posto di fronte al Mistero, l’uomo cerca di immaginare, di concepire, di strutturare con riti e regole il suo rapporto con il Mistero stesso. Posta questa premessa, è chiaro che in linea teorica ogni persona potrebbe creare la sua religione.
«Ma – scrive don Giussani nel suo libro All’origine della pretesa cristiana – nella vita della natura c’è un ruolo che è creativo di società: è il ruolo del genio. Il genio è un carisma eminentemente sociale, che esprime in mezzo all’umana compagnia i fattori sentiti dalla compagnia stessa in modo talmente più acuto degli altri, che questi ultimi si sentono più espressi nella creatività del genio che neanche se si mettessero ad esprimersi da soli. (...) Nella storia umana il genio religioso coagula intorno a sé, esprimendo il talento della stirpe meglio di chiunque altro, tutti coloro che partecipando al suo ambiente storico-culturale sentono in lui messi in valore i dinamismi della loro ricerca dell’Ignoto».
È così che nascono le religioni: esse sono delle risposte istituzionalizzate al senso religioso dei molti. Tutti gli iniziatori di religioni sono accomunati dalla certezza di aver beneficiato di una speciale rivelazione di Dio e di doverla comunicare ad altri (cf. All’origine, 37). La religione islamica, lo abbiamo visto, si presenta come il frutto delle rivelazioni concesse da Allah a Maometto.
La religione cristiana, invece, si presenta come espressione della fede in Gesù Cristo, cioè come riconoscimento di un fatto, del fatto che nell’uomo Gesù Cristo il Mistero, Dio stesso si è reso presente corporalmente. Questa irruzione di Dio nella storia, il fatto che Dio si sia reso fattore della storia costituisce il compimento della vicenda religiosa del popolo d’Israele.
Scrive Von Rad:
«La fede d’Israele è stata sempre un rapporto con un avvenimento, con un’auto-attestazione divina nella storia» (cit. in All’origine, 40).
È proprio nell’intima connessione tra la rivelazione di Dio e la storia che si documenta la differenza tra la Bibbia ed il Corano. Il Corano è un libro in cui sono contenute le rivelazioni che Maometto ha ricevuto direttamente da Dio. Tale rivelazione è avvenuta in certo modo al di fuori della storia, egli stesso dice di essere come “rapito” al di fuori dello spazio e del tempo presenti per ricevere la rivelazione di Dio. La Bibbia è, invece, il frutto della storia dell’alleanza tra Dio ed un popolo, Israele, alleanza aperta poi a tutti gli uomini. Gli agiografi che hanno portato il loro contributo alla sua composizione sono dei veri autori, i quali guidati dallo Spirito Santo «nel possesso delle loro facoltà e capacità» hanno reso testimonianza all’azione di Dio nella storia. L’ispirazione cristiana si compie nella storia:
Osserva in proposito il teologo M. Dhavamony:
«Parlando di ispirazione, dobbiamo distinguere tra ispirazione numinosa o religiosa e ispirazione biblica. Dal punto di vista fenomenologico, l’ispirazione numinosa è quell’esperienza avvertita da una persona religiosa quando è in contatto col sacro o col divino e lo esprime, siccome lo ritiene vero, autentico e significativo, mediante composizioni orali o scritte. (...) Ma l’ispirazione biblica comporta che sia lo Spirito all’opera come impulso vitale, come forza che tutto anima negli eventi e nelle parole contenute nella Bibbia e che ha portato alla stesura. La Bibbia è l’opera dello Spirito nel senso diretto e reale del termine. La stesura della Bibbia è parte della struttura complessiva degli eventi guidati dallo Spirito. L’uomo e Dio sono, ad un tempo, autori della Bibbia» (cf. M. Dhavamony, “Induismo”, Conc 2 (1976) 30-31, cit. in V. Mannucci, Bibbia come Parola di Dio, 189).
Si capisce così perché la religione cristiana non sia una religione del libro ma della Parola di Dio, della Parola incarnata e presente.
Il Cristianesimo è certo anche una religione, ma è, prima e principalmente, fede in Gesù Cristo, riconoscimento in Lui della Presenza del Mistero. Qui sta la grande differenza con l’Islam e con tutte le altre religioni. La nostra fede non si basa sulle esperienze mistiche, sulle rivelazioni personali di un uomo o di gruppi di uomini (sebbene nella storia della Chiesa vi siano state molte rivelazioni private e moltissimi mistici, più che in qualsiasi altra religione).
La nostra fede si basa sul Mistero dell’Incarnazione: Dio si è fatto uomo, è entrato carnalmente nella storia dell’umanità e rimane Presente nella storia nella comunità dei cristiani, di coloro che gli appartengono, di coloro che con il Battesimo sono divenuti suoi.
Alcune conseguenze
Il fatto che la fede cristiana si presenti come il riconoscimento di una Presenza carnale di Dio, della Presenza di Dio nell’umanità di Cristo porta con sé delle inevitabili conseguenze.
1. Dinanzi alla pretesa di un uomo che dice “Io sono Dio” e, dunque, pur essendo nato 2000 anni fa, sono vivo oggi e per sempre, è doveroso prendere posizione. O si riconosce come vera quest’affermazione o non la si riconosce. Ridurre il Cristianesimo a morale, svuotarlo cioè della categoria di Avvenimento, di Presenza, significa semplicemente rinnegarlo. Ricordiamo le parole di Benedetto XVI proprio all’inizio della sua prima enciclica: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un Avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1).
2. La vita morale, la tensione verso il Destino, non prende le mosse dallo sforzo umano, non si configura più come osservanza di leggi, di regole, rivelate dal Mistero ad uomini prescelti ma come affezione all’umanità assunta dal Mistero stesso, come amicizia di Cristo. Se il Destino è presente qui ed ora ed è presente in forma realmente umana, presente nell’uomo Gesù, tutto il problema morale, il problema del come vivere si risolve «nel gesto puro della libertà» (Giussani) che accetta o rifiuta Cristo.
3. Poiché il Mistero si è rivelato personalmente in un uomo, in Gesù Cristo, per il Cristianesimo non solo la ragione non è un ostacolo alla fede ma, al contrario, la ragione è amica della fede. Secondo la fede cristiana il Logos, la Ragione creatrice di tutto si è incarnata (cf. Gv 1,14). Il metodo dell’Incarnazione, in base al quale Dio è divenuto un fattore del reale esige che l’uomo autenticamente religioso resti davanti al reale, resti perciò ragionevole, perché è nel reale, nel tempo e nello spazio presenti che, nella permanenza del metodo dell’Incarnazione, Dio si rivela ed opera le sue meraviglie.
4. Il rapporto tra l’uomo ed il Mistero è un rapporto di profonda familiarità. Il Corano ribadisce più volte che Dio non ha figli. Il musulmano non può definirsi figlio di Dio ma abd-Allah, servo di Dio. Tra Allah e l’uomo rimane l’incommensurabile distanza che separa l’Altissimo da colui che è mortale, fatto di polvere. Alla luce della fede cristiana, questa distanza è stata definitivamente colmata dall’evento inaudito dell’Incarnazione.
5. Rispetto al senso religioso dell’uomo, è fuor di dubbio che la strada tracciata da Cristo, se riconosciuta come vera, non può che essere l’unica strada, non perché le altre religioni siano false ma perché in nessun’altra il coinvolgimento di Dio nella storia può giungere al livello di profondità dell’Incarnazione, al fatto cioè che Dio si sia fatto uomo. Se questo è avvenuto, la Verità è quell’uomo, il Bene è quell’uomo, il Bello è quell’uomo, la Via è quell’uomo, la salvezza non può che essere in Lui, come dice Pietro davanti al Sinedrio negli Atti degli Apostoli: «Questo Gesù è la pietra che scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (cf. At 4,11).
È per questa ragione che il cristiano, pur riconoscendo i semi di bontà e i raggi di verità presenti nelle altre religioni, mai potrà rinunciare alla missione, ad essere cioè nel mondo, con la sua presenza, con la sua carne, segno della Presenza di Cristo, Salvatore del mondo e Signore della storia.
Missione, cioè testimonianza, cioè martirio.